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FOIBE: un pezzo di storia taciuto per troppo tempo.

Domani alle 12.00 presso la sala consiliare del comune la commemorazione

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Il fenomeno degli infoibati , è il seppellimento in cave carsiche di origine naturale con ingresso a strapiombo, dette foibe, di quasi 17mila italiani, ad opera degli insorti guidati dal Movimento resistenziale sloveno, croato e italiano in Istria e nella Venezia Giulia, che conobbe due periodi e due territori distinti. La prima ondata di violenza esplode subito dopo la firma dell’armistizio dell’8 settembre 1943 con Badoglio, quando quasi tutta la penisola incuneata fra Trieste e Fiume cadde sotto il controllo degli insorti. I partigiani slavi si vendicano contro i fascisti e gli italiani non comunisti. Torturano, massacrano e gettano nelle foibe circa un migliaio di persone. Li considerano “nemici del popolo”. Un odio nato nel tempo quando a seguito del Trattato di Rapallo, firmato nel 1920 tra il regno d’Italia e quello dei Serbi, Croati e Sloveni, furono annesse all'Italia Gorizia, Trieste, l'Istria e Zara e negli anni successivi, il regime fascista impose in tutto il Venezia Giulia una violenta politica di snazionalizzazione. La prima conseguenza di «questo programma di distruzione integrale delle identità» fu la fuga di gran parte delle minoranze dalla Venezia Giulia, ma soprattutto si consolidò, agli occhi di queste minoranze, un fortissimo sentimento anti italiano. Ma la violenza aumenta nella primavera del 1945, la seconda ondata, quando la Jugoslavia occupa Trieste, Gorizia e l’Istria. Le truppe del Maresciallo Tito si scatenano contro gli italiani. A cadere dentro le foibe ci sono fascisti, cattolici, liberaldemocratici, socialisti, uomini di chiesa, donne, anziani e bambini. Il movimento partigiano di Tito scatenò un’ondata di violenza nella zona di Trieste, nel Goriziano e nel Capodistriano, che portò all’arresto di molte migliaia di persone, in larga maggioranza italiane, ma anche slovene contrarie al progetto politico comunista jugoslavo: centinaia le esecuzioni sommarie immediate nelle foibe, le deportazioni nelle carceri e nei campi di prigionia. È una carneficina che testimonia l’odio politico-ideologico e la pulizia etnica voluta da Tito per eliminare dalla futura Jugoslavia i non comunisti. La persecuzione prosegue fino alla primavera del 1947, fino a quando, cioè, viene fissato il confine fra l’Italia e la Jugoslavia. Ma il dramma degli istriani e dei dalmati non finisce. Nel febbraio del 1947 l’Italia ratifica il trattato di pace che pone fine alla Seconda guerra mondiale: l’Istria e la Dalmazia vengono cedute alla Jugoslavia. 350mila persone si trasformano in esuli. Scappano dal terrore, non hanno nulla, sono bocche da sfamare che non trovano in Italia una grande accoglienza. La sinistra italiana li ignora: non suscita solidarietà chi sta fuggendo dalla Jugoslavia, da un paese comunista alleato dell’URSS, in cui si è realizzato il sogno del socialismo reale. La vicinanza ideologica con Tito è, del resto, la ragione per cui il PCI non affronta il dramma, appena concluso, degli infoibati. Ma non è solo il PCI a lasciar cadere l’argomento nel disinteresse. La stessa classe dirigente democristiana considera i profughi dalmati “cittadini di serie B”, e non approfondisce la tragedia delle foibe. I neofascisti, d’altra parte, non si mostrano particolarmente propensi a raccontare cosa avvenne alla fine della seconda guerra mondiale nei territori istriani. Fra il 1943 e il 1945 quelle terre sono state sotto l’occupazione nazista, in pratica sono state annesse al Reich tedesco. Parlare delle foibe vuol dire chiamare in causa il complesso di situazioni cumulatesi nell'arco di un ventennio con l'esasperazione di violenza e di lacerazioni politiche, militari, sociali concentratesi in particolare nei cinque anni della fase più acuta della seconda guerra mondiale. È qui che nascono le radici dell'odio, delle foibe, dell'esodo dall'Istria. Le foibe furono il prodotto di odi diversi: etnico, nazionale e ideologico. Furono la risoluzione brutale di un tentativo rivoluzionario di annessione territoriale. Chi non ci stava, veniva eliminato. Il silenzio della storiografia e della classe politica avvolge la vicenda degli italiani uccisi nelle foibe istriane. È una ferita ancora aperta perché è stata ignorata per molto tempo. Il 10 febbraio del 2005 il Parlamento italiano ha dedicato la giornata del ricordo ai morti nelle foibe.
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