L’invenzione della Nazione nasce dalla Rivoluzione francese. Nel 1793 un evento epocale sconvolge la scena: viene ghigliottinato il re. I sanculotti legittimarono se stessi non in nome di Dio, ma “in nome del popolo sovrano”. Ci si dà una costituzione, cade l’Ancien Régime e con esso la sua monarchia. Fu così che un tricolore rosso, bianco e blu sostituì lo stendardo dei Borboni. L’ideale della grande Nazione francese sarà ereditato in tutta Europa. Una Nazione che si fonda su una volontà generale, espressa in un modo rivoluzionario: il voto. Fino al ’48 in Italia non c’è un’identità nazionale. Arriverà tardi alla sua Unità, cercando di costruire la propria storia. Lo fa con accenni laici, anticlericali. Mezzi del catechismo nazionale: scuola e lingua, insieme alla leva militare. Lo Stato, così, investirà sulla scuola per dare insegnamenti patriottici; la lingua dove c’è si adotta al posto dei dialetti, dove non c’è viene inventata a tavolino (quella italiana altro non è che il fiorentino aureo); la leva militare in sostituzione degli eserciti mercenari: con la leva arriva la guerra, una Nazione sarà sempre contro un’altra. Sciovinismo, razzismo verso l’estraneo, il diverso. Si apre la strada alla nazionalizzazione delle masse.
L’identità nazionale è costruzione culturale per eccellenza data da un patrimonio collettivo fatto di padri fondatori, di eroi, di una lingua, una storia, di monumenti e di tradizioni popolari.
Qual è il “kit di costruzione di una Nazione”, qual è la sua anima? In base a che cosa un popolo può riconoscersi sotto una stessa bandiera? La Nazione somiglia al popolo, è un lungo lascito di uomini e si è formata in modo diverso da come le storie raccontano. Riesce ad essere tale, a vivere, solo quando un pugno di uomini decide di aderire collettivamente a questa funzione. Una sorta di “sistema Ikea” di costruzione delle identità, seguito da un proselitismo che obbliga a sentirsi partecipi del tutto. La Rivoluzione francese ha aperto la strada a questo sentimento, a questo senso di appartenenza. Un’idea da costruire guardando al passato, inventando epopee nazionali, storie di Omeri contemporanei, di un Enea padre d’Italia. Inventando un nuovo genere, il romanzo storico, che riporti le condizioni della società. Attaccandosi al Folclore, la scienza del popolo: un ritorno alla natura e alle origini, il mito dell’innocenza del popolo da conservare e rianimare. Mozart e Verdi inventano un linguaggio popolare, delle tradizioni. La nascita della Nazione si crea a ritroso, si rivive un passato mai avuto.
Tutto parte dalla Rivoluzione francese che ha dato alla Nazione una sovranità assoluta ed ha fatto della repubblica la sua sovranità assoluta. Si respirò idea di libertà durante l’assalto alla Bastiglia, la si respirò in tutta Europa e la si respirò da Quarto a Marsala. Una lingua, un inno, una bandiera. Il verde della speranza degli uomini del risorgimento e della nostra macchia mediterranea, il rosso del loro sangue e della carità, il bianco della fede e delle Alpi. Un patrimonio che, seppur inventato e costruito, ormai è parte di noi. Perché un pugno di uomini ha deciso di sentirsi italiani.
Ci ricorda il sangue dei nostri avi, il senso di democrazia. Una Nazione creata non per schierarsi contro un’altra. Una Patria che è Dna, che è cicatrice sulla pelle. Una storia, una terra, una cultura, che ci identifica e circoscrive.
Non si può scappare da essa. Un Paese che ignora il proprio ieri non può essere domani.