Un viso in bianco e nero, una sigaretta a metà, un cappello. E’ l’immagine più popolare di quello che è considerato uno tra i più conosciuti poeti dialettali abruzzesi. Un poeta attuale non per le tematiche trattate né per lo stile o la poetica, ma per il suo essere rozzo come il trombone della
celebre “Serenate a Mamma”.
Le serenate sono sempre improvvisate, colgono di sorpresa, si ricordano nel tempo e sono fatte col cuore. Le serenate hanno le note di atmosfere passate, di balconi e di paesini, di amori e di povertà; hanno la magia di lingue antiche, rossori di guance e di lampioni, tristezze e nostalgie che si perdono per vicoli nascosti. Questo è Modesto Della Porta.
Nel 1933 usciva per l’editore Carabba di Lanciano la prima edizione della sua raccolta di poesie: “Ta-pù”.
“Ta-pù” è il suono del “trombone d’accompagnamento” di un calzolaio descritto nella raccolta, le note base, quasi le uniche che questo sappia produrre dal suo strumento. Il trombone, il calzolaio, le feste di paese, ancora una volta l’intenzione di narrare la realtà piccola e magica dei paesini. Tra sacro e profano, per il titolo della sua opera, Della Porta sceglie la poesia che più sintetizza la sua poetica che parla di amori, di pranzi di famiglia, di uomini che tornano da lontano, di medici, di indovini e di zingari.
Modesto non è il poeta della gioia di vivere; tratta sì di atmosfere paesane, fiere e feste patronali, ma tutti sanno che sono proprio queste le occasioni che più delle altre sono intrise di un dolore velato, un’ombra, quella dei ceri di una processione o quella della sera che arriva su una festa. Della Porta tratta il dolore umile che si nasconde dietro la forza della necessità di sopravvivenza.
Oggi si crede di essere alternativi e interessanti rivisitando tradizioni e atmosfere di altri luoghi; si cercano le danze e le musiche che evochino quel sacro e profano che è proprio contenuto in Della Porta. La diversità, l’alternatività e di conseguenza la preziosità è nel ricercare tutto questo a partire dalle strade che percorriamo ogni giorno, dal monumento che vediamo ogni sera quando usciamo. Cercare dentro e non fuori, partire dal basso, dalle note base, dal “ta-pù” di un trombone goffo e vestito a festa.