Roma assimilò tutto l’assimilabile dalla cultura greca tranne la tragedia che non fu apprezzata nè mai popolare. Due mondi lontani, il primo troppo occupato in conquiste e chiuso nel suo mos maiorum, il secondo a stretto contatto con il divino, avvolto in un senso di angoscia e solitudine mentre si guarda affondare. Ripete le sue origini da una sacra rappresentazione ed è vitale quando affonda le sue radici nelle tradizioni nazionali: nel mondo antico, orientale e greco.
In ogni tragedia si imita una tensione fatta di fotogrammi, la rappresentazione di una dinamica nelle sue diverse forme, nel suo disfacimento.
Ci sono dei personaggi che ci appaiono positivi per il principium individuationis, cioè che permette di separare, cogliere, distinguere. Eroi che non dobbiamo mai perdere di vista e che non conoscono se stessi. Crescono attraverso gli atti, amplificati dalla funzione del muro umano, la voce di ognuno di noi: l’allucinogeno coro capace di frantumare il soggetto. L’epilogo è distruttivo. L’effetto deve essere quello di un pugno nello stomaco per arrivare alla catarsi, la liberazione in senso fisico. Si prova piacere nel dolore e vi si pone le distanze.
Il dramma di Medea che, dopo essere stata abbandonata da Giasone, uccide Creusa, la sua rivale. Il suo piano perfetto si conclude con l’uccisione dei i suoi due figli punizione tremenda per un padre, disegno perfetto di vendetta. Figli di un amore ormai finito. In alcune rappresentazioni li addormenterà nel sonno, in altre saranno addirittura impiccati, il fratello maggiore, lucido e cosciente, aiuterà il minore. Medea vinta dal furor e non dalla ratio. Quanto si è lontani da un padre che si toglie la vita buttandosi sotto un treno e fa perdere le tracce delle sue figlie, forse addormentandole per sempre con dei veleni o consegnandole a qualcuno ma, pur sempre allontanandole dall’altro, punendolo? Quando un eroe positivo come Edipo che, dopo aver ucciso suo padre e sposato sua madre senza saperlo, si autocondanna a non vedere più la luce cavandosi gli occhi è vicino ad un ragazzo che, credendo di aver causato un incidente mortale, si auto-punisce gettandosi in un fiume?
È questa la fine della tragedia, la nostra epoca l’ha così assimilata? Gli orrori, i massacri sono messi sulla scena reale della quotidianità , entrano nelle nostre case con le loro storie, i loro volti. Personaggi che non dobbiamo mai perdere di vista per sentirci uguali a loro, per provare così dolore… Per raggiungere la catarsi, bisogno dell’animo. L’opinione pubblica, il moderno coro, che condanna e cerca un colpevole. L’orco Michele o la perfida cugina Sabrina hanno fatto a pezzi i sogni di Sarah? I mass media che sentono quasi il dovere di martellarci di particolari cruenti, ferendoci con le stesso numero di coltellate che hanno colpito la piccola Yara, buttandoci in un campo. Lasciandoci schifati da questa realtà , in oblio.