I drammatici fatti di Roma del 15 ottobre hanno riportato l’attenzione sul gruppo di violenti, già noti alle cronache, detti “Black bloc” o “Black block; gruppo di stampo prevalentemente anarchico, impegnato in vandaliche manifestazioni di protesta.
Come notava, fin dalle prime battute d’agenzia, la dott.sa Francesca Dragotto, linguista e ricercatrice presso la Facoltà di Lettere di Roma “Tor Vergata”, le scelte linguistiche dei giornali hanno creato non poche confusioni e soprattutto molteplici varianti: ad esempio “bloc” o “block”?
In tedesco “Scwarzer block”, in inglese “black bloc”; in entrambi i composti il primo termine ne veicola la qualità, “nero”, il secondo la natura, “blocco”; in italiano, sulla base dei modelli alloglotti, suonerebbe come “blocco nero”.
Si nota in inglese un’oscillazione semantica troppo spesso trascurata:
Il termine “bloc”, veicola infatti i tratti animato, dinamico, tendenzialmente legato a questioni di ordine politico: «A group of countries that work closely together because they have similar political interests»; la parola “block” invece indica un blocco solido di materia inanimata: « A large piece of a solid material that is square in shape and usually has a flat sides (…); «A tall building that contains flats or offices (…)».
L’originario “Schwarzer Block” nacque all'inizio degli anni ottanta in Germania, per opera della polizia tedesca, a identificare gli appartenenti all’area della sinistra extra-parlamentare. Gli esponenti del gruppo erano soliti indossare, durante le proteste, abiti e maschere nere alla scopo di apparire, al colpo d’occhio, più numerosi ed essere facilmente riconoscibili dai sodali; le maschere e i caschi avevano inoltre uno scopo funzionale: proteggere e nascondere dagli attacchi e dai riconoscimenti da parte delle forze dell’ordine.
Già dagli inizi degli anni ’90, l’espressione tedesca divenne la base per il calco americano, “Black bloc”, destinato a segnare un gran numero di proteste di diversa natura, accomunate dal sentimento anti-globale: a Seattle nel 1999 contro la Conferenza ministeriale del WTO, a Praga durante la riunione del Fondo Monetario Internazionale, a Goteborg contro il Consiglio Europeo.
L’alloglotto “Black bloc” si è imposto, nella lingua dei media italiani, a partire dai fatti del G8 di Genova, nell’estate del 2001. Il cerchio, storico e linguistico, si è chiuso il 15 ottobre 2011 con 500 "black bloc” o “black bloc” che hanno messo a ferro e fuoco la capitale, scatenando una vera e propria guerriglia urbana.
Quindi “block” o “bloc”? “Blocco inerte e compatto” o “corpo dinamico e ben strutturato”? Dalle indagini condotte all’indomani dei conflitti di Genova è emersa una profonda difficoltà nell’individuare, dietro l’accaduto, una rete organizzata e definita; si è parlato infatti di movimenti spontanei, non riconducibili a un associazionismo preciso. I recenti scontri romani hanno invece rivelato una grande capacità di organizzazione paramilitare e una gestione articolata del conflitto, che emancipano e differenziano qualitativamente gli ultimi episodi, da quelli del 2001.
Queste intuizioni trovano parziale conferma in un articolo di La Repubblica, dello scorso 17 ottobre, nel quale Carlo Bonini e Giuliano Foschini, hanno raccolto la testimonianza di un protagonista degli scontri: giovane trentenne, precario, arrabbiato, addestrato e motivato a continuare quella che egli stesso ha definito una “guerra”.
Insomma a separare “block” e “bloc” non vi è una semplice sottigliezza semantica o ancora peggio un refuso, dettato dalla fretta della comunicazione mediata, ma una vera e propria incapacità di leggere la realtà attraverso i fatti di lingua.
Sicuramente non sarà passato inosservato il neologismo, coniato dal comico Brignano, che spariglia le carte in tavola e, alludendo alle dubbie capacità critiche dei soggetti coinvolti, li definisce semplicemente “black bloccati”…di cervello.