Di questi tempi è facile imbattersi in commesse appassionate che propinano come capo immancabile per il prossimo autunno la giacca “sciancrata”. Giacca che??? “Sciancrata!”.
Le fashion addicted (o le nostrane modaiole compulsive) non hanno bisogno di ulteriori precisazioni ma forse nemmeno loro immaginano - o sono semplicemente assorte nella contemplazione del manichino in vetrina - che “sciancrato” è un aggettivo che nasce dall’adattamento del francese “échancré”, «scavato», a sua volta derivato di “chancre”, «cancro».
L’immagine è quella poco rassicurante di un cancro che intacca ma in sartoria e nel linguaggio della moda viene detto di qualsiasi abito modellato con una scavatura nel punto vita. Quest’anno tocca alla giacca, possibilmente di Zac Posen, stilista, cresciuto a Soho (New York), classe 1980, sostenitore del punto vita (che logora chi non ce l’ha).
Se il punto vita c’è ma mancano le risorse economiche necessarie per una giacca di Posen, c’è sempre H&M…
C’è poi l’immancabile possibilità di fare ottimi acquisti “vintage”, sostantivo inglese (vìntiğ)*, ma rigorosamente pronunciato alla francese, con l’accento sulla (a) e la (g) , fricativa post alveolare sonora, come la seconda di “garage”.
Del resto la parola deriva dal francese antico “vendenge”,«vedemmia», discendente diretto del latino “vindemia”, composto che alla lettera significa «togliere il vino» (“vinum”+ “demere”,«togliere»).
Si è affermato come denominazione generica di vini d’annata di pregio e per estensione si riferisce anche a prodotti diversi dal vino. Si tratta di oggetti e prodotti che evocano periodi remoti; un vero “vintage” deve superare i ventanni, altrimenti è semplicemente “demodé”.
Se poi non se n’è avuto abbastanza di lingua della moda e moda della lingua, ci sono anche i “Macarons”: tormentone linguistico e culinario, inseguito dai blog di cucina e dalle modaiole-congenite, quelle che la moda è uno stile di vita.
Il “Macaron”è un pasticcino francese, dal nome italianissimo (deriva infatti da “maccarone”); è un dolce a base di meringhe, ottenute da una miscela di albume d’uovo, farina di mandorle e zucchero; viene farcito come un piccolo panino di biscotti con burro, creme o panna. Un gioiello di pasticceria difficile da padroneggiare: perfetto equilibrio fra morbidezza e croccantezza, ripieno e guscio, liscio e ruvido.
Non ci sono dubbi sulla loro bontà, come non ci sono dubbi sul loro alto tasso di “facebucchismo”: tutti ne parlano - specie sui social network - e non c’è blogger culinario che non si sia cimentato almeno una volta (ma anche decine, data la difficoltà) in questa ricetta.
Insomma se è vero che l’anglofonia ha conquistato il mondo è anche vero che il fascino romanzo conquista ancora l’immaginario attraverso piccoli vezzi linguistici che fanno tanto bene all’umore (ah! l’insostenibile pesantezza della realtà!). Quindi per il prossimo autunno, in barba alla crisi o sopravvissuti alla crisi, se il punto vita lo concederà, giacche “sciancrate vintaaaage” e “macarons” in borsetta per i cali glicemici.
*l’uso delle parentesi tonde invece delle parentesi uncinate è una necessità tecnica.

