È proprio il caso di dire che le parole sono importanti per quello che dicono ma anche di più per quello che non dicono. Un’ intuizione che si concretizza nel potere evocativo, nel significato non esplicito, della sigla P4, al centro del dibattito mediatico della settimana.
In generale l’uso delle sigle nella comunicazione quotidiana è apprezzato per le sue caratteristiche di sintesi e immediatezza; tuttavia è facile intuire come il minimo sforzo della lingua, la riduzione alle sole lettere iniziali, riduca anche la possibilità da parte del lettore/ascoltatore di comprenderne il significato.
Nella storia e nell’immaginario collettivo ci sono state una più nota P2, dal nome Propaganda Due, la meno nota P3 e la recentissima P4.
Si tratta di esperienze diverse fra loro che la tradizione giornalistica e lessicale accumunano: complottismo, segretezza, – in misura diversa – capacità di eversione dei sistema politico.
Quando Tina Anselmi definì la P2 come «il più dotato arsenale di pericolosi e validi strumenti di eversione politica e morale», riferendosi al piano di Rinascita Democratica di Licio Gelli, e disse: «Le P2 non nascono a caso, ma occupano spazi lasciati vuoti […] per creare la P3, la P4», intuì la dimensione profonda della corruzione e allo stesso tempo anticipò un processo lessicale.
Nel tempo infatti il lobbismo e le logge segrete italiane hanno trovato spazio nella discussione civile e anche un nome, allusivo, che non spiega ma funziona nella sua sintesi oscura, a suggerirne la segretezza.
Cosa fu la P2 e cos’è la P4? Sebbene ad oggi i rapporti più espliciti fra i due eventi rimangano di tipo linguistico e le indagini ancora in corso non consentono di pronunciare parole definitive, è comunque possibile individuare le caratteristiche fondamentali dei due casi.
Come è noto e ben attestato nella letteratura di riferimento, la P2 (Propaganda 2) fu una Loggia massonica coperta, formalmente sciolta nel 1974 e ricostruita nel 1975, sotto la guida di Licio Gelli che la trasformò in una potente forza occulta in grado di condizionare il sistema economico e politico italiano.
La scoperta e la pubblicazione (1981) degli elenchi degli affiliati e del programma dell’associazione aprirono un caso politico e giudiziario; nelle liste comparivano infatti nomi di direttori e funzionari dei servizi segreti, generali, ministri, giornalisti, faccendieri, imprenditori, magistrati.
Il caso P2 fece emergere in Italia, in altri sistemi e in altri Paesi, l’esistenza del lobbismo, cioè di un'azione di pressione politica su figure di potere al fine di orientare le scelte in direzione favorevole ai lobbisti.
Sulla scia delle cattive abitudini, dure a morire, la stampa nazionale colloca il presunto caso P4. Il nuovo scandalo va configurandosi in questi giorni come un sistema di gestione di notizie riservate, tese al ricatto per ottenere appalti e nomine.
Tra i principali indagati ci sono il manager Luigi Bisignani, l’onorevole Pdl Alfonso Papa, il sottufficiale dell’Arma Enrico Giuseppe La Monica e il poliziotto Giuseppe Nuzzo; nelle carte dell’inchiesta compaiono anche le ministre Prestigiacomo, Carfagna e Gelmini.
L’indagine si sdoppia e interessa appalti con enti pubblici per centinaia di milioni, acquisizioni immobiliari e controllo sulla Rai.
Dalle intercettazioni e dalle prime dichiarazioni appare evidente una certa cialtroneria: non un macchinoso sistema lobbistico, quale fu la P2, ma una P4 a “conduzione familiare mafiosa”, nelle sue premesse mediocre anche nel “male”. Si può quasi dire che più che alludere alla segretezza, la sigla ometta per dignità.