L’errore più grande che si possa fare è pensare al Vangelo come un libro che racconta di un evento accaduto nel passato. Il Vangelo è anche questo, ma non solo questo. Il vangelo, infatti, è un vero e proprio manuale di istruzioni per l’uso che va applicato a me e a te, oggi, in questa società, in questa particolare esperienza di vita, affinché l’evento si ripeta qui e oggi.
Il racconto del Vangelo di Luca al capitolo 6, versetti 36 – 50, parla di una donna, della quale non conosciamo nemmeno il nome, ma sappiamo solo che è una peccatrice. Una condizione che non può che rappresentare ciascuno di noi. Più che rappresentare, però, è fondamentale che ciascuno di noi si riconosca in questa condizione, perché solo riconoscendosi peccatori che si può fare un’ autentica esperienza di fede.
Il contesto particolare è un pranzo a casa di un fariseo di nome Simone, uomo pubblicamente giusto, dove Gesù viene invitato a partecipare, ed ecco arrivare una donna, “una peccatrice di quella città”, una donna pubblica peccatrice, che iniziò a bagnare i piedi di Gesù con le sue lacrime, ad asciugarli con i suoi capelli, a baciarli e cospargerli di profumo.
Il gesto che effettua questa donna è un tipico rito sessuale dell’epoca e basta quest’annotazione per capire quanto sia sconvolgente questo racconto dell’evangelista Luca. L’abisso del male che abbrutisce l’uomo fino a farlo diventare brutto che si avvicina e tocca la fonte della bellezza e della bontà, Gesù. Il risultato di questo incontro, fra i due poli opposti, è la guarigione interiore della donna. Non sarà infatti lei e il suo peccato a “infettare” Gesù, ma sarà la potenza del bene che abitava in Gesù a trasformare quella donna. Una vittoria del bene e della bellezza sulla bruttezza del nostro peccato.
In questo racconto la gran parte di noi fa meno fatica a riconoscersi nella figura di Simone il fariseo, più preoccupato di apparire giusto che di essere giustificato, che non nella figura della donna. Peccatrice si, ma con una grande forza di libertà, una donna libera da se stessa e dalla paura del giudizio degli altri, è una peccatrice e non lo nega. Una peccatrice che non sta bene nella sua condizione di peccato, perché altrimenti, se fosse stata bene, non sarebbe mai andata a cercare Gesù.
Il vero miracolo è riconoscersi peccatori perché solo così possiamo comprendere che inutile fatica sia passare e perdere il proprio tempo e le proprie energie interiori a nascondere agli altri il proprio peccato.
La donna ha ricevuto il perdono da Gesù perché ha compiuto molti peccati e la ragione di questo perdono sta nel fatto che comunque questa donna ha tanto amato, ha sempre amato. Ha solo sbagliato l’oggetto del suo amore, ma non ha sbagliato ad amare.
Nella vita non basta amare, ma è necessario capire bene e scegliere chi e cosa amare.
Lei è stata capace di riconoscere l’amore vero proprio grazie al suo peccato: mentre gli altri uomini avevano amato il suo peccato, in Gesù scopre un amore che risana e non degrada, che dona e non sfrutta. In una parola trova in Gesù ciò che aveva cercato incessantemente per tutta la vita: l’amore autentico.
Gesù avrebbe potuto giudicarla, allontanarla da se e invece la guarisce, la ama.
Il primo passo per poter guarire è dunque riconoscersi peccatori e questo vuol dire ammettere che da soli non si riesce a cambiare, non si riesce a guarire. Noi non riusciamo a guarire dal nostro peccato perché lo neghiamo, lo nascondiamo. Poi bisogna chiedersi se si vuole davvero guarire per vincere la propria miseria o se si desidera “cambiare” solo per essere rispettabili agli occhi della gente. Il passaggio decisivo però è amare e amare in modo giusto, rivolgendo questo amore al giusto “oggetto”, perché c’è un amore che salva e uno che distrugge.
Come la donna peccatrice, anche noi dobbiamo saper amare Gesù in modo giusto perché è lo stesso Gesù che ci ama per primo.