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Alla ricerca della sorgente d'acqua che zampilla per la vita eterna.

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Il Vangelo di Domenica ci racconta di Gesù che arriva a Sicar, città della Samarìa, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio, dove c’era un pozzo di Giacobbe. Era quasi mezzogiorno e Gesù, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Mentre i discepoli scesero in città a fare provvista di cibo, avviene l’incontro tra Gesù ed una donna samaritana, recatasi al pozzo con un’anfora per prendere dell’acqua. Qui ha inizio un meraviglioso dialogo, quel dialogo che Gesù intavola con ognuno di noi, senza pregiudizi e giudizi, senza rimproveri offensivi e falsi moralismi, senza mettersi su un piano di supremazia, pur essendo l’unico a poterlo fare, senza vestire i panni di chi accusa puntando il dito per ferire e non per guarire. Si avvicina, invece, con delicatezza, tenerezza e amore. Si avvicina condividendo il problema. Ed è per questo motivo che è proprio Lui a chiedere all donna di dargli da bere. Risponde la donna samaritana: “Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?”. I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. Le risponde Gesù: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice “Dammi da bere”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva”. “Chi berrà dell’acqua che io gli darò non avrà più sete in eterno. Anzi l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna”. Il centro di questa pagina del Vangelo non è l’acqua, ma è la sete, quella sete che ognuno di noi porta dentro e che può assumere forme diverse: sete di amore, sete di amicizia, sete di comprensione, sete di successo, sete di denaro. La sete sta ad indicare quel bisogno che ti porti dentro e che spesso diventa il fulcro della tua vita: tutto ruota intorno alla necessità di appagare questa sete. Spesso non siamo nemmeno in grado di dare un nome a questa sete, sentiamo solo un fermento dentro, un’insoddisfazione che diventa ricerca spasmodica di qualcosa o qualcuno. Gesù chiedendo da bere alla samaritana sembra dire ad ognuno di noi: non preoccuparti, mi sto avvicinando a te, conosco la tua sete, anche se tu stesso non la riesci a capire, e sono l’unico che può davvero placare questo tuo bisogno. “Va a chiamare tuo marito e ritorna qui”. Gli risponde la donna: “Io non ho marito”. Le dice Gesù:”Hai detto bene. Hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito, in questo hai detto il vero”. Gesù di fronte a questa donna con una situazione così intricata non si scompone, ben consapevole di essere inviato ai malati e non ai sani, ai fragili e non ai forti, ai bisognosi e non a coloro che hanno già il necessario per vivere. Gesù l’ascolta, la considera, la comprende, le restituisce dignità. Le fa capire come il fatto di aver avuto già cinque uomini, non è riuscita a placare il suo bisogno, la sua sete. Siamo uomini e donne alla continua ricerca di senso, di appagamento, di certezze, di stabilità. Ben consapevoli che ciò che troviamo o realizziamo andranno a dare una soddisfazione momentanea, fino a quando l’effetto “soporifero” non sarà svanito per qualche motivo e ci porterà nuovamente a metterci alla ricerca, dando così il via ad un ciclo senza fine. Non riusciamo ancora a capire che niente e nessuno, su questa terra, può darci quell’acqua che toglie la sete. Paura, titubanza, incredulità, scetticismo, scarso interesse, conoscenza nulla della Parola di Dio? Siamo destinati a rimanere persone assetate e in continua ricerca.
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