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6 APRILE: L’AQUILA-GUARDIAGRELE, IL RITORNO.

La voce di uno studente sopravvissuto

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«Tra le nuvole e il mare si può fare e rifare, con un po’ di fortuna si può dimenticare. […] Tra le nuvole ed il mare si può andare e andare, sulle scie dalle navi di là dal temporale e qualche volta si vede, domani, una luce di prua e qualcuno grida: domani!». Un domani sperato e arrivato che non vuole dimenticare. Trecentonove i tocchi delle campane, ventimila persone in strada a ricordare i quanti non torneranno più a casa. Tre minuti di una notte di due anni fa, tre minuti bastarono a sconvolgere e frantumare una terra, rendendola fumo, polvere e silenzio. Lasciando chi vi abita senza un tetto sotto cui coprirsi, nudi in mezzo al mondo. Nudi nell’animo colmo di dolore. Tre minuti bastarono a segnare per sempre la vita di studenti e genitori che attenderanno invano il loro ritorno. Cinquantacinque gli studenti che quella notte si spensero per sempre. Una città universitaria, il crollo della casa dello studente, il simbolo di una tragedia dei giovani. Molti i guardiesi che studiavano, e studiano, nel capoluogo. Una voce di uno di loro per tutti i loro cuori: «Ricordo con nodo in gola la notte tra il 5 ed il 6 aprile. Ero ormai abituato alle piccole scosse che ogni giorno davano un segnale, quella stessa notte anche la Protezione Civile ci aveva tranquillizzati e fatti rientrare in casa. Dormivo a casa della mia ragazza, al quarto piano, per non farle avere paura e proprio prima di addormentarci l’avevo rassicurata: pensavo fosse impossibile che succedesse… Ma a volte anche l’impossibile riesce a manifestarsi, quello che hai sempre visto nei film diventa la tua vita. Erano le 3.32 un boato, seguito da forti scosse… E tutto il mondo giù. La mia ragazza, piccola e fragile, sarebbe rimasta lì a guardarlo crollare. Senza far niente, senza dire una parola, se io non ci fossi stato a proteggerla sotto una porta. Una palazzina nuova, la nostra, che fortunatamente è rimasta in piedi e ci ha permesso di scendere in strada. Silenzio e gelo. Li porto con me come una cicatrice sulla pelle, quella che ti ricorda l’incidente in cui ti sei salvato per un pelo. Paura. Abbiamo passato la notte in una villa, potevi toccare con mano come il vero cemento fosse rimasto in piedi senza diventare una tomba. Quella stessa mattina sono tornato a casa, a Guardiagrele, in pigiama. Ho provato a continuare i miei studi a l’Aquila ma, per la situazione che stava, e stavo, vivendo è stato davvero difficile. Caos. Aule provvisorie, notti in sacco a pelo. Nessun alloggio. Per uno studente al primo anno alle prese con materie scientifiche è davvero impossibile non frequentare. O forse volevo andare via dall’incubo. Non mi vergogno a dire che per notti e notti ho dormito abbracciato ai miei genitori. Scosso, segnato. Non più uguale ad ieri». Le famiglie degli studenti universitari morti all’Aquila non hanno avuto dallo Stato alcuna attenzione. Da quel giorno nessuno ha prestato attenzione al grande dolore che ha sconvolto la loro vita. Nessuna attenzione morale e nessuna attenzione materiale. Sembra quasi che le proprietà immobiliari valgano più dell’esistenza dei nostri figli e dei nostri fratelli. In nottata una fiaccolata ha ricordato le vittime, nessuno dimenticherà mai quegli studenti, quelle bare bianche, quelle due bare, di una mamma e della sua bimba, l’una sull’altra. Nessuno deve pensare che sia solo un ricordo lontano. C’è una città intera che aspetta di essere risarcita e ricostruita, che conta sulla sua universita’, che aspetta il suo domani.
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