Lampedusa, ultima frontiera, ormai al collasso. Arrivano otto barconi al giorno, superate le 15.000 presenze (contro i 4.300 lampedusani). Sono stati tre giorni in acqua e per il 90% sono tunisini, seguono eritrei, somali e libici. Non si scappa solo da una guerra ma, anche dalla miseria e dalla dittatura del mondo arabo. Giorni di emergenza, rischi di tubercolosi, scabbia. C’è solidarietà nell’isola che li accoglie. In queste situazioni precarie è anche nato un bambino, il suo nome significa “Regalo di Dio” e la popolazione non ha esitato a portare doni. Quella stessa popolazione che, però, vorrebbe tornare alla sua normalità, che vorrebbe, e dovrebbe, tornare a vivere di turismo. Una mano arriverà dalle regioni, stipulato dal ministro dell’Interno Maroni il piano profughi: non ci saranno regioni esentate, anche se nessuno vuole gli immigrati, tranne l’Abruzzo ancora alle prese con il post-terremoto. Il criterio di distribuzione adottato sarà quello di mille migranti ogni milione di abitanti. Il piano, messo a punto dal Viminale, prevede l’accoglienza fino ad un massimo di 50 mila profughi da distribuire tra le regioni italiane, se dovesse aprirsi un flusso imponente dalla Libia. I prefetti dei capoluoghi di regione hanno raccolto nelle ultime settimane le disponibilità delle strutture che possono essere adibite all’accoglienza: edifici pubblici, ex caserme, alberghi, istituti religiosi. Una realtà che va affrontata anche a livello europeo. L’Europa, fa finta di non sentire. Malta spara sulle navi che vede arrivare; Zapatero, di sinistra, non li accoglie ed ha ordini ben precisi; a Ventimiglia bloccano i confini e li rimandano indietro; la stessa ricca Lega Araba, se ne lava le mani. Bossi vorrebbe rispedirli a casa con una nave pagata dall’Unione Europea. Non sono solo profughi di guerra ma, soprattutto, giovani in cerca di speranza, di un lavoro che non esiste neanche per gli italiani. Vedono l’Italia come la prima tappa per spostarsi verso il resto del mondo, Lampedusa come l’ultima frontiera per continuare a sperare.