Un lavoro storico durato 3 anni, dal teatro con i burattini al contatto con gli anziani, l’attore e regista Fabio Di Cocco fa nascere nel suo paese un nuovo personaggio della comicità popolare e lo presenta proprio a ridosso del Carnevale. Nasce dalla rivisitazione del Detto dell’inferno fatta da Elsa Flacco. Frappiglia, è uno dei tanti poveri contadini della nostra terra ed è il suo ambiente semplice e saggio a contraddistinguerlo. Il suo nome è l’unione di due termini dialettali: «frà», da frate e, quindi, fratello e «piglia», pigliare, parola immagine del grande cuore abruzzese, ripetutamente pronunciata dal padrone di casa quando offre ad i suoi ospiti “lu complimènd”. La scena si apre con Frappiglia che chiede un bacio al suo «amoro», Marietta, la quale ha un sedere «che pare la Majella». Ella non può baciarlo perché «ci sta la gent che è pettelon e ficch lu nas» e perché non ha ricevuto neanche un regalo dal suo innamorato. Se Frappiglia vuole mangiare «nu bell piatt a la chitarr con nu bell sug fin», se vuole sentire «li scrucch da la muntagn» (rievocando il ritornello di una vecchia canzone) un regalo deve farle. Iniziano i monologhi del buffo personaggio, come può fare? «Ci vò li quatrin!», parla e farnetica da solo come un povero vecchio. Solo il suo amico Balocco potrebbe aiutarlo con 5, 10, 20, 30, 40 soldi… Prenderebbe più che può, se solo il suo amico fosse disposto a dare e, se egli non offre, «nin sem chiù fratill». Per il suo prestito vorrebbe «una garanzia», non mancano i giochi linguistici: Frappiglia capisce «una cara zia» e chiama «Za Mengucc di cossa stort», resta il fatto che il semplice contadino può offrire solo il suo sorriso, il suo cappello o «una margarita», cose che, però, non si mangiano… Nonostante sia suonata la campana di mezzogiorno e la sua fame nera, il sugo fine «con quelle bestiole in mezzo», salsicce, vitello e papera, è ancora lontano senza il regalo. Il dialetto crea ancora equivoci all’arrivo del diavolo, «Satanasso» o «l’ananasso»? Invocati da Frappiglia «Sand Andonio», «la Madonn», «lu Padratern» insieme a ripetuti giuramenti: siamo vicini alle rappresentazioni popolari del Sant’Antonio. La comica maschera guardiese è disposta anche a vendere la sua anima a Satana in cambio di una frittata con le salsicce ed un buon bicchiere di Montepulciano d’Abruzzo e «se non è d’Abruzzo basta che è Montepulcian». Un bel piatto di spaghetti per morire sazi e, si può cantare, «quant’è bon, quant’è bon li maccarun!». Dopo aver mangiato non può mancare un bel ruttino e «nu poch d’aria»: e «se la loffa è saporit, lu piatt era appetit». Giunto il momento della fine di Frappiglia, ormai a terra per farsi carpire… «l’alm di mammt!»: inventa, furbamente, di dover fare testamento. Satana glielo concede e così, su di un foglio che «puzza di sardella», scrivendo come il celebre notaio guardiese, Messina, lascerà in eredità la sua stessa anima e, poiché non ha eredi, tornerà direttamente a lui. Ha così «fregato Satanasso». Per un giorno ha così mangiato ma, adesso è tornata la fame. Ruba delle salcicce da rivendere al suo amico Balocco che, però, gli darà solo mezzo soldo. Il regalo per Marietta sarà semplicemente «una collana di porcello naturale», perché lui sì che conosce le donne! Non può che essere considerato un cafone e finisce la sua giornata mangiando salsicce e bevendo del buon vino e «dopo l’appetito’na bella durmit». Si è lavorato a lungo su questo personaggio, sulla sua spontaneità. È il “teatro delle stalle”, quello trasmesso dai nonni attraverso i racconti e le favole dalle quali veniva fuori il senso del pericolo, i ruoli del buono e del cattivo, un orco, un lupo o un diavolo. Le ricerche nel mondo contadino hanno portato alla luce un mondo genuino, fatto di piccole cose, di persone semplici che, pur non avendo grandi lettere, avevano genialità innata nel costruire rime. Si prendeva spunto da quello che avveniva nelle circostanze e lo si rappresentava durante il Carnevale attraverso le “carnevalat”. Ritrovata la voce di Mastro Cesarino, di Villa San Vincenzo. Il testo racconta un episodio di ribellione delle frazioni di Comino, Caporosso e Sciorilli contro il comune di Guardiagrele il quale non voleva concedere loro il ponte e la scuola. È una “mascherata” cantata, con ritmo guardiese, per l’occasione da Domenico Simeone e Emilio Scioli. La commedia si serve della tradizione per abiti, maschere di cuoio e strumenti musicali del collezionista Rocco Di Prinzio affinché sia reale e non solo finzione. La sua anteprima non poteva non essere nel suo paese natio: si parte dal Teatro del Giardino per poterla poi portare in tutta Italia. Dalla prossima settimana sarà la volta di Pisa e poi Torino, nell’ambito delle manifestazioni legate al 150˚ dell’Unità d’Italia. Finalmente anche la nostra terra ha una maschera alla pari di Pulcinella ed Arlecchino, grazie Fabio.