Molto sommessamente, ma proprio molto sommessamente, vorremmo suggerire al Capo dello Stato di considerare, quando fa i suoi appelli all'unità e al valore della patria, che l'Italia non inizia con il Risorgimento né con la Resistenza. Oh, certo, con il primo inizia la sua storia di unità politica e amministrativa, e con la seconda guerra modiale ci sia avvia alla Repubblica , ma non sono iniziati allora nè il suo spirito, né, come si dice, la sua cultura. Anzi, in termini propriamente culturali, né il Risorgimento, né la Resistenza hanno prodotto in termini estetici e culturali granché. Essendo momenti di cambiamento politico hanno semmai riletto - e spesso con occhiali ideologicamente miopi- fatti e figure della storia culturale italiana. Infatti, non si può festeggiare il 150° anniversario dell'Unità d'Italia senza riconoscere l'altra Storia del Risorgimento come l'invasione e la conquista del Regno delle Due Sicilie nel 1860, prima dalla farsa epopea dei mille di Garibaldi e poi dal esercito piemontese, con 120 mila uomini al comando del generale Cialdini. Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha detto ai giovani del PdL che occorre correggere ciò che è stato scritto erroneamente sulla nostra storia. Questo significa che finalmente anche un capo di governo italiano prende atto che bisogna raccontare la vera Storia del Risorgimento, che non è quella mitologica raccontata nelle nostre scuole ... Ammettiamolo: Non Cè Unità Senza Verità e Garibaldi, Cavour, Mazzini non hanno fatto risorgere un paese dal nulla. Da cosa doveva risorgere la patria delle università, della scienza, della medicina, dellarte, di Dante, Giotto, Cimabue, Petrarca .? La storia degli stati pre-unitari è storia sovente gloriosa, di repubbliche come Genova e Venezia, che hanno dominato i mari, di ducati come quelli di Mantova e Parma, delle decine di capitali che costellavano la nostra penisola, il Regno delle Due Sicilie, la nostra Napolitania con 700 anni di storia, di organizzazione statale con il bilancio sempre attivo e che fu reso passivo solo e in appena tre mesi di occupazione masso-savoiarda, di Stato al 3° posto nel mondo dopo Inghilterra e Francia che pure avevano le colonie ... Insomma, il bel paese dove i romantici venivano a godere l'arte, la poesia, la musica, la buona cucina Da cosa dovevamo risorgere, se non, come voleva Cavour, dalle tenebre della storia cristiana? L'unità politica ed economica era forse un'esigenza, benché i popoli della penisola non ne sapessero nulla. Anche Pio IX e buona parte del clero italiano la avrebbero appoggiata. Nei primi anni del Risorgimento non mancavano i sacerdoti e i seminaristi che partivano volontari, che agitavano la coccarda tricolore nelle strade, che si arruolarono nella I guerra di indipendenza. Ma ad un certo punto non fu più possibile farlo, perché si capì che chi si stava appropriando del movimento di unificazione voleva un'Italia elitaria, illuminata, che tagliasse le sue radici col passato. L'unità sarebbe potuta arrivare per consenso, con la dovuta calma e cautela, foderando stati, culture, economie diverse, e mantenendo uguali diritti per tutti. Coniugando la storia e i costumi del nord con quelli del centro e del sud. Invece Garibaldi, Mazzini, Cavour, le sette segrete, la massoneria, con l'appoggio di parte della borghesia capitalista, puntarono a fare dell'Italia un'appendice del Piemonte, con l'ausilio non degli italiani, ma del esercito di Napoleone e dei soldi dell'Inghilterra. Ha scritto Antonio Gramsci: "I liberali concepiscono l'unità come allargamento dello Stato piemontese e del patrimonio della dinastia, non come movimento nazionale dal basso, ma come conquista regia ". L'Italia è nel mondo sempre stata riconosciuta come patria della bellezza, e qui sono stati generati, da una storia e da uno spirito religiosi diffusi, i geni di Giotto e di Masaccio, di Michelangelo e di Piero della Francesca, di Raffaello, di Caravaggio e di Guercino. E dell'Alighieri, di Petrarca, di Ariosto, di Tasso, di Leopardi, di Manzoni, o di Vivaldi, di Rossini, di Verdi, di Pergolesi Figure dinanzi al cui genio universalmente riconosciuto, francamente, i Cavour e i Garibaldi, o i Pertini e i Togliatti impallidiscono. A meno che, secondo un brutto vizio, si intenda solo la politica come storia comune. Eppure, l'opera di civilizzazione fatta, ad es., da una Pietà di Michelangelo è probabilmente più vasta e fertile di quella operata da alcuni comitati civici o da alcuni leader politici. E allora perché richiamare sempre e solo la piccola storia politica italiana, perché non chiamare il nostro popolo a riscoprire la propria unità intorno alla bellezza e al genio di cui è stato capace e ai motivi che lo hanno fecondato? Perché solo una bandiera e un inno invece di una grande commozione? Di quale grandezza abbiamo paura, noi che ne siamo gli eredi? Il Seg. De La DESTRA Guardiagrele Paolo Damiano Tracce da Francesco Agnoli Il Foglio