Apertura prolungata fino al 12 gennaio a Palazzo de' Mayo per la rassegna "Nicola da Guardiagrele e l'oreficeria contemporanea abruzzese", un allestimento che mette a confronto il maestro del Medioevo europeo con i suoi più prestigiosi conterranei dei nostri giorni. Visitabile al Set (Spazio esposizioni temporanee), l'evento coorganizzato dalla Fondazione Carichieti insieme all'ente Mostra dell'artigianato artistico abruzzese (Emaaa)richiama dall'inaugurazione del 5 scorso un pubblico ogni giorno numeroso. «E' cominciata proprio dalla nostra sede», spiega il presidente della Fondazione, Pasquale Di Frischia, «una lunga maratona che la Mostra guardiese ha intrapreso per l'Abruzzo e l'Italia fino al traguardo dell'Expo di Milano del 2015, un periodo in cui continueremo a stare vicino all'ente regionale con sede a Guardiagrele perché crediamo, e non certo da oggi, al valore culturale della sua proposta e al ruolo che detiene in fatto di promozione e tutela dell'artigianato artistico, un settore vitale per l'economia abruzzese». Dalla regione e dall'intera penisola provengono i visitatori dell'allestimento curato dal direttore artistico dell'Emaaa Gabriele Vitacolonna e da Sergio Bacelli negli arredi. «Oggi stendiamo un ponte tra il grande artista guardiese e abruzzese e i suoi dicendenti artistici», osserva Gianfranco Marsibilio, presidente dell'Emaaa, «ma il 2014 sarà l'anno di Nicola nell'ambito della 44a Mostra, dove sarà ospitata una selezione delle sue opere insieme a pezzi di artisti coevi. Un appuntamento che la Regione dovrà finanziare», sottolinea il presidente, «poiché si tratta del progetto che più di ogni altro, tra i molti che l'ente ha portato avanti nei decenni, mette in contatto l'artigianato artistico abruzzese con le sue autentiche radici storiche». Sono 29 gli orafi prescelti per l'esposizione a Palazzo de' Mayo, tra i quali il compianto Sante Petrocelli che fino allo scorso decennio collaborò con la Mostra agostana di Guardiagrele. «La selezione che abbiamo operato», spiega Vitacolonna, «mette in luce l'internazionalizzazione conquistata dai nostri orafi a partire dal secondo dopoguerra, quando uscirono dai clichè della tradizione gelosamente conservata per inserirsi nelle correnti del Novecento europeo, dove si respiravano atmosfere che oggi definiremmo "globalizzanti", come i richiami ai temi del passato rivisitati o l'esotismo ispirato dall'Africa».