“Ognuno gà le sò razòn!” “Ognuno ha le sue ragioni”. Con questa frase, che si ripete in maniera quasi ossessiva durante tutto il romanzo, si potrebbe riassumere la quintessenza dell’ultima opera letteraria di Antonio Pennacchi. Ci sono le ragioni dei ricchi d’inizio Novecento, i Padroni con la P maiuscola, le ragioni dei nuovi industriali, dei nuovi sindacati, le ragioni del Nord e le ragioni del Sud di un’Italia solo formalmente unita, ma soprattutto ci sono le ragioni della povera gente, mezzadri, braccianti e disoccupati. Inutile cercare di catalogare “Canale Mussolini” sotto un’ideologia di destra o di sinistra, tutt’al più si potrebbe dire, mutuando il titolo del precedente romanzo di Pennacchi, che è un romanzo fasciocomunista. L’autore con l’incisività e la concretezza che caratterizzano la sua scrittura ripercorre la storia italiana dai primi del novecento fino alla fine della seconda guerra mondiale attraverso gli occhi e le vicissitudini della famiglia Peruzzi che da Codigoro, piccolo centro agricolo della provincia di Ferrara, emigra assieme a 30000 romagnoli, veneti, friulani (“cispadàn”), verso il Lazio per bonificare la palude pontina, spinti dalla fame e attirati dalla promessa di diventare proprietari delle terre che bonificheranno. Nel pieno rispetto di quella legge a cui ogni buon scrittore dovrebbe attenersi, e cioè che non esiste una verità assoluta, ma solo verità relative, Pennacchi usa come voce narrante e giudicante quella di un discendente dei Peruzzi che ripercorre le tappe fondamentali della propria famiglia dal 1904 fino alla fine della seconda guerra mondiale. Secondo lo schema dell’intervista il narratore, di cui s’ignora l’identità per quasi tutto il romanzo, espone al suo immaginario interlocutore il proprio punto di vista sulle vicende storiche più importanti della storia italiana, riportando “quello che ha sentito dire dagli zii e dai nonni”, e contraddicendo spesso le versioni della storiografia ufficiale. Dunque ogni evento storico viene raccontato attraverso gli occhi dei “testimoni” Peruzzi che offrono al resoconto storico ufficiale dei bollettini di guerra e dei giornali (e della propaganda) dell’epoca il loro personale punto di vista, che una volta è quello dei carnefici, negli eccidi d’Etiopia, e un’altra quello delle vittime, una su tutte la battaglia di El Alamein e la prigionia nel campo inglese. La forza del romanzo sta, forse, proprio in questo; nell’offrire al lettore dei nuovi punti di vista alla ricostruzione della nostra storia recente, e accanto alla scrupolosa ricerca storica si trovano anche spunti ricchi di pathos che conferiscono all’opera una carica di pathos preso in prestito dall’epica greca (e forse non è un caso che i nomi dei protagonisti si rifacciano a celebri e gloriosi personaggi, reali e mitologici) della classicità quali: Temistocle, Pericle, Paride. Un altro elemento di rilievo è la scelta del dialetto nei dialoghi dei Peruzzi, ma certe volte anche sulle bocche dei protagonisti storici che commentano gli eventi, dando così alle espressioni e pensieri più incisività e vivezza. Romanzo imponente e cruciale per la vita dello scrittore, come lui stesso afferma nella premessa, “bello o brutto questo è il libro per cui sono venuto al mondo” leggendolo se ne capisce tutta l’importanza e la solennità.