La memoria, soprattutto quella che riguarda fatti ancora senza
	risposta e che pesano ancora sulla nostra storia, va coltivata, giorno
	dopo giorno. E se questa assiduità di esercizio civico e civile non è
	possibile, almeno ci si soffermi a riflettere su date cruciali, come i
	20 anni dalla strage di Capaci che uccisero il magistrato Giovanni
	Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta. A
	maggior ragione quando il ricordo di un giorno che scosse l’Italia si
	intreccia con un attentato ad uno dei luoghi più sacri e più
	vulnerabili della nostra società, la scuola, portando via una giovane
	donna e ferendone altre.
	Ci saremmo dunque aspettati da Salvi, dalla sua giunta, dall’Assessore
	Provinciale Di Prinzio, un cenno, un moto dell’animo, un’assunzione di
	responsabilità quali rappresentanti dello stato che hanno il compito
	di ricordare a se stessi e ai cittadini che c’è chi, per lo Stato, ha
	dato via la vita. E invece niente. Il silenzio su Brindisi, il
	silenzio su Capaci. Fa male prendere atto che si indossa la fascia,
	anzi, tutte le fasce possibili, per inaugurare dei bidoni
	dell’immondizia, che si sprecano fiumi di inchiostro e parole per
	avvisare la cittadinanza che i bagni pubblici sono di nuovo aperti,
	che sono belli ed eleganti, e che non si trovi un minuto, uno sforzo,
	un impegno per ricordare, per rendere omaggio, per dire grazie, per
	prendere esempio.
	Fortuna, però, che ci sono gli studenti della scuola dei Cappuccini
	che, il 23 marzo scorso, hanno tenuto viva la memoria del giudice
	ucciso parlandone con la sorella, Maria Falcone. Ancora una volta la
	scuola pubblica, prima martoriata dai tagli e ora minacciata dalla
	violenza, ci salva.
	Un consiglio all’Amministrazione Salvi: eviti di ricordarsi di Falcone
	fra un mese o due, come è successo per i 150 dell’Unità d’Italia,
	celebrati ad aprile. Sarebbe ancora più imbarazzante e meno rispettoso
	dell’assenza e del silenzio di oggi.
Gruppo consiliare “Guardiagrele il bene in comune”