Tratto dal Sole24Ore del 3 Ottobre 2011 Articolo di Maurizio Caprino Vent’anni e sette modifiche dell’attuale Codice della strada. Più i decenni di vigenza del Codice del 1959, nato quando le campagne di stampa contro la pubblicità abusiva ai bordi delle strade erano già roboanti. Ma "cartellone selvaggio" resta un problema largamente irrisolto, che continua a compromettere la sicurezza stradale (crea distrazione e riduce la visibilità), il paesaggio italiano e pure le en¬trate degli enti locali. Così le imprese hanno imparato che farsi pubblicità abusivamente per strada si può, senza patemi. E molte non si sono nemmeno ac-corte che da metà luglio sono di¬rettamente responsabili di alcu¬ne violazioni da sempre addebi-tate all’azienda pubblicitaria cui si rivolgono (e che poi ha mezzi e strategie per eludere o ritardare le sanzioni). La novità è passata sotto silen¬zio anche perché si è materializ¬zata all’improvviso, sotto forma di emendamento-blitz alla prima manovra economica estiva (DI 98/11): nella legge di conversione (111/11) è stato inserito il nuovo comma 12 dell’articolo 23 del Codice (quello che discipli¬na la pubblicità stradale), che sta¬bilisce appunto la responsabilità in solido dell’azienda pubblicizzata e quasi decuplica la sanzione. Il minimo passa infatti da 159 a 1.376,55 euro e il massimo (di fatto applicabile solo in alcuni casi eclatanti a chi fa un ricorso e lo perde) arriva addirittura a 13.765,50: un’ulteriore decuplicazione, che non segue la regola generale secondo cui nel Codice della strada le sanzioni massime sono "appena" quadruple rispetto alle minime e fa da deterrente contro i "ricorsi facili", su cui il settore pubblicitario abusivo si è retto per decenni. Tutto ciò, però, vale solo quando il cartello è difforme rispetto alle prescrizioni contenute nell’autorizzazione. Nell’ipotesi più grave di abusivismo totale (comma 13-bis), le sanzioni restano quelle precedenti, più pesanti: da4455 a 17.823 euro. Ma, come spesso accade quando si legifera a colpi di emendamenti, c’è qualche paradosso: resta anche il principio secondo cui in questo caso l’azienda pubblicizzata diventa responsabile solo quando non si riesce a in¬dividuare l’autore materiale del montaggio del cartello. E chi fa pubblicità su beni culturali e paesaggistici rischia appena 398 euro di multa. Al di là delle sanzioni, occorre poi vedere quanto vengono applicate: se è vero che negli ultimissimi anni le autostrade delle principali aree del Nord sono state bonificate dall’incredibile selva di cartelloni che le avvolgeva, in altre zone vicine le prefetture si avvalgono ancora sporadicamente della facoltà di ordinare l’immediato abbattimento, anche entrando su suoli pri-vati. Inoltre, a Roma il Comune è nell’occhio del ciclone per la mancata rimozione degli abusi e i ritardi nell’emanazione del nuovo piano regolatore degli impianti pubblicitari. E fonti qualificate stimano che lungo le strade gestite da una Provin¬cia del Sud siano abusivi i tre quarti dei cartelloni. In generale, lungo le autostrade delle zone più a rischio la Polizia stradale rileva rapidamen¬te le violazioni. Sul resto della rete viaria, complice anche il fatto che non esiste il divieto assolu¬to imposto su autostrade e strade extraurbane principali, i controlli scarseggiano. L’ultima direttiva ministeriale che invitava a farne (la n. 1381) è datati7 marzo 1998, quando il dicastero competente aveva ancora il no¬me «Lavori pubblici». Il livello di trascuratezza è talmente noto fra gli operatori che il comitato Sicurezza stradale della Fine o (filiera confindustriale delle imprese di manutenzione stradale) pensa di proporre agli enti locali di sostituirsi a loro nella riscossione dei tributi sulla pubblicità e nel censimen¬to dell’abusivismo. Lo farebbero in cambio dell’affidamento della manutenzione delle stesse stra-de, da finanziare anche col recupero di questi introiti. Prove tec¬niche di sopravvivenza ai tagli nei bilanci pubblici.