Chi, come noi, perora la causa della cancellazione del debito pubblico viene continuamente attaccato da un sedicente capitalismo italiota secondo il quale se lo Stato non paga il debito, ci sarà lo sfracello, il cataclisma. Perché? Perché salterebbero proprio le banche italiane, che hanno in pancia quasi la metà dei titoli emessi dallo Stato. Quindi: Dio ce ne scampi dal causare il fallimento delle banche, sarebbe il crollo dell’intera economia italiana. Sommessa domandina antiterroristica: e se contestualmente alla cancellazione del debito nazionalizzassimo il sistema bancario? In questo caso, con lo Stato diventato proprietario degli istituti bancari (e assicurativi aggiungiamo), avremmo, in prima battuta, che esso non solo diventerebbe titolare dei crediti delle banche, ma pure dei loro asset, accrescendo così il proprio patrimonio e la propria stessa solvibilità. Venendo al sodo: accadrebbe, con la nazionalizzazione, che quello che per lo Stato è oggi inscritto a bilancio sulla colonna dei debiti verso creditori esterni (relazione che soggiace alle spietate leggi dello strozzinaggio finanziario globalizzato, per cui i creditori hanno tutto l'interesse a trarre il massimo guadagno a spese del debitore) si sposterebbe nella colonna dei crediti. Sottraendo il debito/credito al mercato finanziario globalizzato, lo Stato non solo eviterebbe la propria bancarotta, ma proteggerebbe i suoi cespiti, i suoi patrimoni, le sue entrate dai vampiri della finanza speculativa, che ha proprio nelle banche i suoi santuari. Contrariamente a quanto sottendono furbescamente i camerieri del «Grasso BanKiere», la nazionalizzazione non porterebbe affatto il sistema bancario al crack. Oggi sì che le banche italiane, nel distorto gioco della bisca finanziaria globale, lo rischiano davvero. Una volta che lo Stato ne abbia preso possesso, il patrimonio e le immense entrate tributarie dello Stato diventerebbero la più solida garanzia fideiussoria per il sistema bancario. Una volta nazionalizzate le banche, una volta che lo Stato sia diventato effettivo titolare del suo debito, prima mossa, solo allora può passare alla seconda, decidere se ristrutturarlo o cancellarlo del tutto. Un governo popolare, cioè un governo che metta l’interesse pubblico e/o nazionale in cima alle sue priorità, lo cancellerebbe del tutto, liberando così i circa 300 miliardi di euro annui che spende per rimborsare i credito-speculatori, per investirli nell’economia, per sostenere i disoccupati e spronare le zone depresse, per salvare la ricerca e l’istruzione, per salvaguardare i diritti di cittadinanza e i beni comuni. E i debiti verso le banche tedesche, francesi, olandesi o inglesi? Che questi strozzini vadano alla malora! Al che sentiamo i camerieri spaventati gridare: «ma questo implica uscire dall’Eurozona! Significa tornare alla lira!». Esatto: le due mosse di cui sopra implicano la terza: l’uscita dall’euro e la riconquista della sovranità monetaria, con la clausola che la nuova Banca d’Italia, quella deputata ad emettere carta moneta, sia sottratta — passo del resto congruente alla nazionalizzazione del sistema bancario — al controllo dei privati. Per la fine dell’anno dovremo(!?) tirare fuori ancora tra i 30 e 60 miliardi di euro sapendo che le manovre servono solo per indebitare il popolo e cancellare la res-pubblica, la Nazione ... Non disperiamo: più prima che poi giungeranno alle nostre medesime conclusioni.