Massimiliano Bucci, ancora da accertarsi le dinamiche dell'incidente

Oggi l'autopsia e domani i funerali

La Redazione
02/09/2011
Attualità
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Un ragazzo solare, buono e meraviglioso. Così a Orsogna ricordano Massimiliano Bucci, 39 anni, deceduto per un infortunio sul lavoro il 30 agosto poco dopo le 17.30, presso il pastificio De Cecco di Villa Caldari, ad Ortona. Sono ancora in corso le indagini e gli esami medico legali per stabilire la reale dinamica e le cause tecniche dell’incidente, in cui il giovane, operaio di quarto livello del reparto confezionamento del prodotto, che lavorava nell'azienda dal 2002, ha perso la vita. Secondo una prima ricostruzione dei fatti, il giovane mentre operava all’interno di un macchinario, sarebbe rimasto schiacciato da una pressa e morto sul colpo, ma tutto ciò appare strano sia per i dispositivi di sicurezza di una pressa che non lasciano spazio ad errori, sia perché la De Cecco è una grande e nota azienda abruzzese che si fregia di numerose certificazioni di qualità e dell'adesione alla politica per la responsabilità sociale. L’incidente avvenuto infatti è il più grave dell' ultimo ventennio e ha lasciato allibita e addolorata l’intera azienda. Incredula, sotto shock e avvolta nel silenzio è anche l’intera popolazione di Orsogna, che si stringe al dolore di tutti i familiari. Ogni morte sul lavoro è un lutto che coinvolge tutti i lavoratori e tutte le imprese, è una sconfitta per tutto il Paese, che già vanta il vergognoso primato di essere quello con più infortuni. Un essere umano che esce di casa per andare a lavoro, per sostentare se stesso e la propria famiglia, la sera dovrebbe farvi ritorno sano e salvo. Questa dovrebbe essere la norma, ma spesso non è così. Ormai le morti bianche sono diventate una tragedia, una sciagura che non conosce consolazione per chi perde un proprio caro in questi casi. Non ci sono, infatti, né risarcimenti né processi che possano restituire pace ai parenti delle vittime. In un Paese come il nostro, condizionato da un’idea robusta di sicurezza sociale sviluppatasi nel secondo dopoguerra, che conferisce centralità alla persona umana, è sconfortante ammettere che si può ancora morire di lavoro. Bisogna innanzitutto stare attenti a non commettere il grave errore di abituarsi a questi tragici accadimenti e di giungere perfino alla terribile conclusione che essi rientrino “nell’alea normale” del rapporto di lavoro, ma puntare invece su un'adeguata prevenzione e formazione, cosicchè l'errore umano non diventi un perseverare diabolico.

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