Un piccolo uomo vestito di blu su di un palco dal profumo di fiori, con la paura che la sua canzone non sia capita dagli italiani. Non una semplice canzone d’amore ma, una poesia contemporanea. Un grido in difesa dell’umanità e della libertà di pensiero, un grido di denuncia ai problemi di una povera e malata Italia, è il forte messaggio contenuto nel testo di "Chiamami ancora amore" di Roberto Vecchioni.
Scopriamo così un grido disperato di pace, un grido coraggioso contro la guerra, contro chi rischia la vita per pagarsi un mutuo «per chi ha vent’anni e se ne sta a morire, in un deserto come in un porcile», contro altre ingiustizie sociali «per l’operaio che non ha più il suo lavoro», per tutti quelli che per questo hanno appeso la loro vita ad un filo ed in difesa della libertà di pensiero «per il poeta che non può cantare […] perché stanno uccidendo il pensiero».
Vengono invocate l’immigrazione e le “carrette del mare”, che a volte affondano al largo delle nostre coste provocando la morte di donne e bambini «e per la barca che è volata in cielo, che i bimbi stavano ancora a giocare», schierandosi contro chi li vorrebbe vedere affondare, contro chi non sa aiutare coloro che scappano da miseria e guerra «che gli avrei regalato il mare intero pur di vedermeli arrivare». Per arrivare alla Riforma Gelmini che porterà alla privatizzazione dell’università, perché nessuno dice che è finanziata da varie banche, che l’università diventerà un’impresa, privilegio per pochi grazie all’alzarsi delle rate ed agli intelligenti tagli «per tutti i ragazzi e le ragazze che difendono un libro, un libro vero, così belli a cantare nelle piazze».
Con un’incitazione a continuare a pensare senza
condizionamenti altrui «perché le idee sono come farfalle che non puoi togliergli le ali, perché le idee sono come le stelle che non le spengono i temporali». Un incoraggiamento a non mollare mai «in questo disperato sogno tra il silenzio ed il tuono», a continuare difendere l’umanità «anche restasse un solo uomo» da questi signori del dolore perché solo l’uomo, attraverso l’amore ed il non odio «chiamami ancora amore», può porvi termine «che questa maledetta notte dovrà pur finire».
Come ha sostenuto lo stesso Vecchioni in una recente intervista Chiamami ancora amore:
«Parla di quello che succede oggi in Italia, soprattutto, ma anche nel mondo. Le cose sbagliate, le cose tragiche, le cose tristi, il bisogno di sperare sempre, di credere sempre». È la prosecuzione di SOGNA RAGAZZO SOGNA.
L’Italia ha capito, ha capito perfettamente senza chiudere gli occhi, senza farsi cullare semplicemente dalla dolce melodia, portando alla vittoria questo grido di vero amore.
Ci aveva già provato Marco Masini nel 2009, sempre a Sanremo, generando ben più polemiche per il testo della sua canzone-denuncia, L’Italia. Le critiche arrivarono addirittura dal governo, parlarono di un’immagine dell’Italia falsata. Il suo testo definito pieno di indecenze costruite a tavolino per farsi pubblicità, ancora un voler chiudere gli occhi davanti allo sporco che ci circonda. Ancora un non voler parlarne. Sempre difficile andare controvento ma, Masini non ha paura né peli sulla lingua: salirà sul palco urlando di nuovo al mondo, crudo e diretto verso i cuori di chi sa ascoltare, di chi non vuole ignorare:
«È un paese l’Italia dove tutto va male, lo diceva mio nonno che era un meridionale.
Lo pensavano in tanti, comunisti presunti, e no.
È un paese l’Italia che governano loro, lo diceva mio padre che c’aveva un lavoro e credeva nei preti che chiedevano i voti anche a Dio.
È un paese l’Italia dove un muro divide a metà la ricchezza più assurda dalla solita merda, coppie gay dalle coppie normali. È un paese l’Italia di ragazze stuprate […] dove tutto finisce così nelle lacrime a rate che paghiamo in eterno, per le mani bucate dei partiti del giorno che hanno dato all’Italia per volare nel cielo d’Europa una misera scopa».
Le denuncie spaziano dal problema del Sud, al lavoro che non c’è, soprattutto per le nuove generazioni, all’ipocrisia di chi si illude che tutto ciò sia normale.
Al perbenismo di facciata che fa puntare il dito contro il diverso, l’emarginato, il gay. Sembra, poi, di tornare a Dio è morto dei Nomadi ed al loro «Dio che è morto nelle auto prese a rate». Problemi reali che i politici, metaforicamente preti, ricordano solo in campagna elettorale. Un’Italietta in sala di rianimazione da quando è volata in Europa. Un paese che, però, non si arrende e continua a sperare. «È una vecchia canzone che vogliamo tornare a cantare. […] Nei suoi sogni innocenti c’è ancora l’odore di un’Italia che aspetta la sua storia d’amore»