13 gennaio 1915: è il disastro. Una scossa di magnitudo 7 devasta il territorio della Marsica senza preavviso, o quasi.
Avvenivano, infatti, da qualche giorno eventi “strani” e apparentemente inspiegabili nei pressi del Fucino: gas infiammabile fuoriusciva dal terreno e acque degli stagni divenivano improvvisamente bollenti.
Presagi dell'imminente catastrofe, lasciati da parte.
Ore 7:53: una prima, violentissima scossa sismica colpisce Avezzano e la Marsica tutta, propagandosi, poi, fino a Rieti.
I suoi effetti disastrosi non tardano a farsi sentire anche dal Veneto alla Sicilia.
Territori come Avezzano, tra i centri più colpiti, Pescina, Cese, Cappelle, Massa d'Albe sono rasi al suolo.
Si conta un numero di vittime spaventoso: oltre 30 mila morti su una popolazione residente di circa 120 mila individui.
I soccorsi “ufficiali” tardano ad arrivare. Considerando anche il rigido clima abruzzese, le 24 ore che intercorrono tra l'accaduto e l'“aiuto” risultano un intervallo di tempo lungo, troppo lungo.
Impedire che il fenomeno si ripresenti? Impossibile.
Eppure, a cento anni dal disastro, un elemento utile esiste: ciò che ognuno dovrebbe far proprio è innanzitutto il ricordo.
Non si può prevedere ciò che accadrà. L'unica “arma di difesa” di cui ciascuno può e dovrebbe servirsi è la conoscenza, che, unita con l'informazione, può davvero rappresentare quella forma di prevenzione, che si accompagna alla riduzione del rischio sismico, con azioni concrete e mirate.
Le esperienze passate dovrebbero essere il punto di partenza da cui ricavare insegnamenti e moniti.
Ciò che oggi sembra essere all'ordine del giorno è invece l'inclinazione a smarrire la memoria storica, elemento determinante e strumento indispensabile, troppo spesso posto nel dimenticatoio, e a dimenticare gli insegnamenti del passato, “unica” risorsa di cui l'uomo sembra “stanco” di servirsi.