“Indignati”, sono stati definiti per primi i cittadini che, lo scorso quindici maggio, hanno occupato Puerta del Sol, Madrid, per protestare contro la grave crisi economica attraversata dal paese: insieme contro la politica dei palazzi e la roulette finanziaria, a favore della democrazia partecipativa. Presto la mobilitazione ha assunto dimensioni più ampie fino a coinvolgere milioni di persone che, in tutto il mondo, hanno trovato un motivo per indignarsi.
Il termine “indignados” mantiene la forza semantica della parola “dignità”, dal latino dignĭtas -atis, derivato di dignus «degno»; in latino ha mantenuto appunto l’unico significato “dignità”, dal greco ἀξίωμα -ατος (assioma).
La dignità, nel suo complesso valore semantico, rappresenta quella condizione di nobiltà morale in cui l’uomo è posto dalle sue intrinseche qualità, dalla sua stessa natura; contemporaneamente indica il rispetto che per tale condizione gli è dovuto e ch’egli deve a sé stesso. La dignità è intesa quindi come dimensione profonda dell’essere umano e può, come si individua nella pluralità delle aspirazioni degli indignati, assumere molte forme e farsi carico delle più diverse esigenze.
Lo stesso portato semantico sembra suggerire l’impossibilità di circoscrivere la categoria degli indignati: mentre i media e l’opinione pubblica cercano di raggruppare in brillanti tassonomie e categorie di persone il popolo dell’indignazione, la possibilità di chiudere il cerchio sfugge inevitabilmente. Il movimento non ha due anime, quella della guerriglia urbana e quella dei manifestanti pacifici, ne ha milioni; i vessilli e le bandiere sono tanti e vari, le motivazioni più profonde di una semplice contestazione. Qualcuno ha detto, con acutezza, che il filo conduttore dei movimenti spontanei di popolo degli ultimi mesi - dai tea party, agli indignati, alla primavera araba - è che il re è nudo.
Il re è la forma del governo, la gestione politica della società, l'organizzazione dello Stato; in un panorama globale in cui, con evidenza, le nazioni dimostrano di non saper rispondere alla crisi, si richiede una rifondazione dello Stato su base meritocratica. È stato definito “clouding capitalismo”(dall’inglese “cloud”, “nuvola”), ovvero un capitalismo diffuso i cui detentori siano i cittadini e non una corporazione.
In definitiva ciò che sembra legare le diverse aspirazioni del movimento è proprio la necessità di rifondare il patto etico: sociale, naturale, non di “classe”. Sarebbe arrivato insomma il momento - per dirla nei termini del filosofo Thomas Kuhn - della rivoluzione paradigmatica: esautorate le possibilità di risoluzione di un sistema, è necessario rifondarne i parametri.
Si legge nel manifesto ufficiale del movimento globale degli indignati «From America to Asia, from Africa to Europe, people are rising up to claim their rights and demand a true democracy. Now it is time for all of us to join in a global non violent protest ( Dall’America all’Asia, dall’Africa all’Europa, il popolo sta sorgendo per rivendicare I propri diritti e chiedere una vera democrazia. Ora è tempo per tutti noi di unirci nella protesta gloabale e non violenta)». Del breve estratto colpiscono in particolare l’aspirazione globale, pacifista, e l’ambizione a un sistema più giusto basato sulla stato di “diritto” e sulla “democrazia”. Si tratta di dimensioni valoriali altissime, dai significati evocativi ma difficilmente circoscrivibili e traducibili in azioni che non abbiano il gusto della demagogia.
Insomma è facile indignarsi, dare ascolto alle aspirazioni più profonde e naturali della dignità, ben altra cosa è dare forma a un nuovo patto etico che si trasformi in politiche condivise reali, al di fuori della piazza.