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La deriva (semantica) del Bunga Bunga

Tormentone mediatico degli scorsi mesi il “Bunga Bunga” non perde il suo appeal e conquista nuovi significati: c’è chi lo usa per connotare legami familiari, chi lo stampa sugli slip da uomo.

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L’espressione “Bunga Bunga” aveva già avuto una sua vitalità prima del Rubygate e, stando ad alcune osservazioni, è probabile che espanderà ulteriormente la sua sfera di significato e i suoi contesti d’uso. “Bunga bunga” è un’ espressione di probabili origini africane, dal significato incerto, documentata a partire dal 1910. Non si esclude che sia una elaborazione fantasiosa su imitazione della fonologia di alcune lingue africane. Il termine compare nel mondo anglosassone all'interno di una storiella umoristica, in cui tre antropologi vengono catturati da una popolazione indigena. Il capo villaggio chiede se vogliono "la morte o il bunga bunga": il primo antropologo ignaro sceglie il "bunga bunga", scatenando reazioni di gioia tra la popolazione locale che, dopo averlo seviziato ed umiliato, lo brucia vivo. In lingua italiana, la barzelletta inglese sugli indigeni viene ripresa da diversi comici fin dagli anni ‘80, a volte con una leggera variazione del termine ("Bumba bumba" al posto di "Bunga bunga"). Nell’ultimo anno il termine “bunga bunga” è tornato alla ribalta, prima in Italia e poi su scala internazionale, a seguito della pubblicazione di intercettazioni telefoniche fra Silvio Berlusconi e altre persone coinvolte nel presunto scandalo sessuale detto Rubygate. Gli aspetti legati alla storiella umoristica si caricano di connotazioni negative alla luce della vicenda giudiziaria per i presunti festini a sfondo sessuale con minorenni, ampliando l’estensione semantica del termine. Di recente l’espressione “bunga bunga” è stata utilizzata dal tabloid tedesco La Bild per colorire le effusioni di Barbara Berlusconi, figlia di Silvio, fotografata in vacanza con il fidanzato. Questo elemento evidenzia come il “bunga bunga” abbia assunto connotazioni strettamente legate alla persona del Presidente. Infine dopo aver allietato l’ilarità - o l’ira dei detrattori - il “bunga bunga” è finito sugli slip da uomo di un noto produttore di intimo, recuperando in parte l’aspetto umoristico. Nel panorama della formazione delle parole, i neologismi giornalistici si caratterizzano per quantità e voracità della diffusione, spesso frutto del recupero di espressioni già esistenti che tornano a una nuova frenetica attività di significazione. Si può immaginare, metaforicamente parlando, un ciclo vitale del neologismo che entra nel sistema come qualcosa di estraneo, spesso – come per il Bunga Bunga – assume significati fortemente espressivi e connotativi, per poi finire, attraverso l’uso e abuso, nell’indifferenza del sistema linguistico. Aspettiamo dunque che passi anche l’era del “Bunga bunga”: per fortuna i neologismi non durano per sempre.

Suggerimenti bibliografici

Francesca Dragotto, “Se stramoggiare non è più uscir fuori dal moggio: il neologismo come respiro vitale della lingua”, Roma, Scuola Iad, 2007
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