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Gesù nel Getsèmani: vero Dio e vero uomo.

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<>. …E presi con sé Pietro e i due figli di Zebedèo, cominciò a provare tristezza e angoscia. Disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me». Gesù chiama con sé i più intimi tra gli intimi: Pietro, Giacomo, Giovanni che avevano condiviso con lui i fulgori della trasfigurazione sul monte Tabor. L’invito è a pregare e a rimanere svegli, a condividere in qualche misura questo dramma umano-divino dell’amore tutto donato. … E avanzatosi un poco, si prostrò con la faccia a terra e pregava dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Sono parole umanissime del “Figlio dell’uomo” che, nella sua vibrante natura d’uomo senza colpa e senza difetto, avverte in sé tutto il fascino del bene del bello della gioia e tutta la repulsione per ciò che è vuoto di bene, per ciò che è dolore, l’appressarsi della morte. È qui, a questo punto, che Gesù ha avvertito il bisogno che, almeno i più intimi, restassero desti e partecipi, vigilanti e in preghiera con lui. … Però non come voglio io, ma come vuoi tu!». Pur pagando l’altissimo prezzo dell’angoscia, della desolazione e della tentazione ad “allontanare il calice” di un dolore inenarrabile, Gesù, pur essendo dunque pienamente uomo, non cade nella disperazione. Lo salva quel suo volere quello che il Padre vuole. … Poi tornò dai discepoli e li trovò che dormivano. E disse a Pietro: «Così non siete stati capaci di vegliare un’ora sola con me? Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Un sonno pesante, dove la “carne” rivela tutta la sua fragilità e debolezza. Eppure Gesù, pur al colmo del suo agonizzare nello spirito, con due imperativi: “vegliate e pregate”, ci consegna la terapia. La fede va sempre curata perché non venga a concessioni con un vivere sonnacchioso, là dove la sonnolenza spirituale “mima” la morte. Nel Getsèmani si ha la concretizzazione di quell’essere tentato di Gesù, che la Lettera agli Ebrei riferisce: “Non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia capire le nostre infermità, essendo lui stesso provato in ogni cosa, escluso il peccato”. La paura, il disgusto, la demotivazione, l’angoscia, l’abbandono affiorano nel Getsèmani. Ma Gesù davanti a questa situazione reagisce restando e non con la fuga: sa di volere che quel calice passi da lui, ma la parola decisiva è la volontà del Padre, e Gesù si abbandona totalmente al Padre, si affida a lui e vince la paura e l’angoscia con la preghiera. Ogni giorno sperimentiamo le prove della vita, l’abbandono dei “vicini” quando gli chiedi di porgerti la mano e sollevarti, di vegliare con te, di pregare con te e per te, il tradimento da parte di amici e nemici. E spesso capita di essere a nostra volta traditori. Per questo chiediamo a Chi può di insegnarci a pregare e a pregare così: “Fa che nella nostra preghiera vinciamo ogni paura che ci impedisce di deciderci per te, per i fratelli, per ciò che ci costa, per ciò che ci spaventa. Fa che la nostra preghiera sia una vittoria della nostra fede: in essa trionfi la tua potenza che ha vinto la paura della morte”. (C.M. Martini)
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